Di massima, ai fini fiscali le plusvalenze vengono determinate al netto degli oneri accessori.
Tuttavia, ciò non si applica al caso di plusvalenze esenti, ove i costi ad esse riferibili sono tendenzialmente indeducibili (artt. 86, 87, 109, c. 5, TUIR). Secondo l’Agenzia delle Entrate, in tale regime di indeducibilità rientrerebbero gli oneri accessori sostenuti al momento della cessione della partecipazione (i.e. spese notarili, perizie tecniche, provvigioni dovute a intermediari) ed altri eventuali oneri che specificamente collegati alla realizzazione della plusvalenza. In tal caso, è necessario apporre una variazione in aumento in dichiarazione, corrispondente all’ammontare di tali costi, parametrata sulla base della stessa percentuale di esenzione della plusvalenza.
Tuttavia, v’è incertezza riguardo l’applicazione dell’anzidetto regime di indeducibilità alle spese sostenute per la due diligence nell’ambito della cessione di partecipazioni. Se da un lato, infatti, si tratta di costi preliminari e propedeutici alla cessione della partecipazione (e non sostenuti al momento della stessa), dall’altro, non è chiaro se si tratti di costi specificamente oppure indistintamente collegati alla cessione della partecipazione. L’Agenzia delle Entrate tende comunemente a negare la deducibilità di tali oneri.
La giurisprudenza si è occupata della questione in alcune circostanze.
La prima, fa riferimento alla sentenza 225/2011 della C.T. Reg. Lazio, che ha valutato se l’indeducibilità dichiarata dalla disposizione in argomento sia applicabile anche a servizi professionali quali le due diligence contabili e fiscali e le valutazioni patrimoniali del caso. In base a tale sentenza, i costi di vendor due diligence sostenuti in vista della cessione della partecipazione sono interamente deducibili, ancorché la partecipazione possieda i requisiti ‘Pex’ (participation exemption) di cui all’art. 87 del TUIR, che prevede che, al ricorrere di determinate condizioni, sia possibile beneficiare dell’esenzione parziale (del 95% per i soggetti IRES). Ciò in quanto tali costi, sebbene necessari, non potrebbero essere considerati oneri accessori alla stregua di spese notarili, provvigioni a mediatori e simili, che non sarebbero sostenuti in occasione della cessione, bensì ne sarebbero unicamente un presupposto.
L’impostazione adottata dalla C.T. Reg. Lazio nell’ambito della sentenza anzidetta, tuttavia, non è stata confermata dalla Cassazione, la quale nell’ordinanza 5082/2018 ha annullato con rinvio la sentenza anzidetta. Per il vero, dalla sentenza della Cassazione non è possibile desumere una conferma della tesi opposta dell’Agenzia delle Entrate. Il rinvio, infatti, trae origine non dall’erroneità del principio di diritto applicato, bensì dalla contraddittorietà della motivazione (la quale da un lato indicava tali costi come assolutamente necessari e dall’altro, negava l’accessorietà degli stessi). Infatti, la Cassazione ha rilevato che è stato sostenuto come le somme pagate per consulenze e servizi di impresa, nonché per compensi a professionisti, costituissero spese necessarie, senza le quali non si sarebbe realizzato alcun accordo, fra cui la cessione della partecipazione della cessione per cui è causa. Ciò nonostante, si è giunti a una conclusione contraddittoria nel senso che tali spese non potevano ritenersi oneri accessori sostenuti in occasione della cessione, non essendo stati sostenuti in occasione della cessione, ma quale suo presupposto: senza di che non ci sarebbe stata alcuna cessione. Neppure si tratta di oneri che siano specificamente, e non solo indistintamente, collegati alla realizzazione della plusvalenza esente. Ad avviso della Cassazione, se le spese si qualificano come “indispensabili” e “assolutamente necessarie” per l’operazione di cessione (da cui deriva la plusvalenza esente) non è possibile escludere che le medesime fossero specificamente destinate alla detta operazione di cessione. Anzi, secondo la Suprema Corte, una volta accertata l’indispensabilità delle spese ai fini della cessione della partecipazione societaria, si verifica un collegamento con la realizzazione della cessione da cui è scaturita la plusvalenza esente a cui consegue, quindi, la loro indeducibilità.
Allo stato, pertanto, non è possibile prevedere quale potrebbe essere l’orientamento della Cassazione nel caso in cui fosse chiamata a pronunciarsi direttamente sulla natura o meno accessoria degli oneri di due diligence.
A cura di Andrea Moresco – Partner Nexia Audirevi Transaction & Advisory
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